“Non posso cambiare la destinazione del vento, ma posso aggiustare le vele per raggiungere sempre la mia destinazione” (E.Shafak)
In ogni epoca l’uomo di qualunque civiltà ha amato viaggiare per mare nonostante esso celasse insidie e pericoli per il superamento dei quali erano indispensabili conoscenze, abilità, tenacia .
L’indescrivibile sensazione provata del vento che spiegava le vele portando i marinai verso la destinazione tanto agognata era tuttavia tale da compensare qualunque sacrificio.
Il vento baciava i visi arsi dal sole, scompigliava capelli incolti, accarezzava i fianchi della nave. E spiegava le vele.
Ma il vento soffia dove e quando vuole. E quando c’è bonaccia le vele non si gonfiano.
Questo è ciò che è successo a Scampia, dove il vento del cambiamento non ha mai soffiato nelle Vele.
Questo è ciò che è successo a Scampia, dove il vento del cambiamento non ha mai soffiato nelle Vele.
Periferia nord di Napoli.
E’ un assolato pomeriggio di settembre quando ho occasione di passare per Scampia, uno dei quartieri campani scelti da Saviano per descrivere i luoghi della criminalità organizzata in “ Gomorra” , romanzo da cui Matteo Garrone nel 2008 ha tratto l’omonima pellicola cinematografica, oltre che fonte d’ispirazione per la miniserie televisiva che nel 2014 verrà trasmessa da Sky Italia. “Scampia” è un termine rurale con cui, in napoletano antico, viene indicato un terreno non coltivato. Etimologicamente infatti il vocabolo fa riferimento ad erbe spontanee che, con poca acqua, sono in grado di sopravvivere a lunghi periodi di caldo e di freddo intenso. Scampia un tempo era una zona di villeggiatura per i napoletani. Poi venne deciso di costruirvi alloggi per decongestionare la città. Oggi Scampia è un quartiere periferico sovraffollato. Qui la criminalità, la prostituzione e la droga rappresentano uno degli investimenti più redditizi per la camorra perché questa porzione di territorio è in grado di eludere qualsiasi forma di controllo politico e statale.
E’ un assolato pomeriggio di settembre quando ho occasione di passare per Scampia, uno dei quartieri campani scelti da Saviano per descrivere i luoghi della criminalità organizzata in “ Gomorra” , romanzo da cui Matteo Garrone nel 2008 ha tratto l’omonima pellicola cinematografica, oltre che fonte d’ispirazione per la miniserie televisiva che nel 2014 verrà trasmessa da Sky Italia. “Scampia” è un termine rurale con cui, in napoletano antico, viene indicato un terreno non coltivato. Etimologicamente infatti il vocabolo fa riferimento ad erbe spontanee che, con poca acqua, sono in grado di sopravvivere a lunghi periodi di caldo e di freddo intenso. Scampia un tempo era una zona di villeggiatura per i napoletani. Poi venne deciso di costruirvi alloggi per decongestionare la città. Oggi Scampia è un quartiere periferico sovraffollato. Qui la criminalità, la prostituzione e la droga rappresentano uno degli investimenti più redditizi per la camorra perché questa porzione di territorio è in grado di eludere qualsiasi forma di controllo politico e statale.
Piazza Giovanni Paolo II.
Il mio sguardo viene attratto da una scritta che campeggia sulla copertura di una fila di colonne bianche. E’ opera di Rosaria Iazzetta, docente di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, artista e fotografa napoletana. La frase recita: “Quando la felicità non la vedi, cercala dentro”.
Via Antonio Labriola.
Contro il cielo terso si individuano i profili triangolari di enormi costruzioni fatiscenti in acciaio e cemento. E’ ciò che rimane dei sette edifici del complesso denominato “Le Vele”, progettato nei primi anni Settanta da un gruppo di tecnici coordinati dall’architetto Franz Di Salvo. Mi perdo a guardare quello che avrebbe dovuto essere il risultato di un progetto funzionale ed innovativo e che oggi altro non è se non una struttura fantasma. Una costruzione simile a quella che da bambina facevo con i pezzi del Lego, con solo i muri perimetrali e dentro il nulla. Presa dalla foga di costruire realizzavo case sempre troppo grandi, tanto che finivo regolarmente col trovarmi a corto di porte e di finestre. E le mie case restavano lì, monche, fino a quando non decidevo di smontarle per ripartire con un altro progetto. Le Vele oggi sono così. Mura che separano locali deserti dal resto della città.
Contro il cielo terso si individuano i profili triangolari di enormi costruzioni fatiscenti in acciaio e cemento. E’ ciò che rimane dei sette edifici del complesso denominato “Le Vele”, progettato nei primi anni Settanta da un gruppo di tecnici coordinati dall’architetto Franz Di Salvo. Mi perdo a guardare quello che avrebbe dovuto essere il risultato di un progetto funzionale ed innovativo e che oggi altro non è se non una struttura fantasma. Una costruzione simile a quella che da bambina facevo con i pezzi del Lego, con solo i muri perimetrali e dentro il nulla. Presa dalla foga di costruire realizzavo case sempre troppo grandi, tanto che finivo regolarmente col trovarmi a corto di porte e di finestre. E le mie case restavano lì, monche, fino a quando non decidevo di smontarle per ripartire con un altro progetto. Le Vele oggi sono così. Mura che separano locali deserti dal resto della città.
Quello che ho davanti è simile ad un corpo martoriato da lesioni non guarite, da ferite non suturate. Calcinacci, scritte sui muri, cassonetti di immondizia rovesciati. Poco lontano frigoriferi arrugginiti, sanitari rotti, carta, plastica, materassi abbandonati, sedie a pezzi e sacchetti di ogni genere formano cumuli di rifiuti sui quali una giovane donna rom versa il contenuto di una grossa pentola in ferro. Le Vele di Scampia generano sensazioni difficili da raccontare, qualcosa che se non vedi con i tuoi occhi non riesci proprio ad immaginare.
“Quando la felicità non la vedi, cercala dentro”. Certo non qui dentro, penso. Com’è possibile vivere qui? 1192 alloggi in linea collegati tra loro da ascensori (mai realizzati) e strade pensili che nell’intenzione originaria dovevano richiamare l’immagine degli antichi vicoli di Napoli. Edifici alti fino a 14 piani i cui livelli sono raggiungibili solo tramite scale o mediante un sistema di funi e carrucole realizzato dagli occupanti per innalzare i pesi fino alle proprie abitazioni. 6500 persone, per lo più senzatetto che, dopo il terremoto del 1980, più o meno regolarmente, hanno occupato le unità abitative che, già all’epoca, non solo erano inserite in un contesto privo di tutte le infrastrutture ipotizzate (chiesa, scuola, aree gioco attrezzate, centri commerciali, zone collettive e culturali, servizi medici, aree verdi) ma, oltre a godere di scarso isolamento e poca illuminazione, disponevano di allacciamenti precari con i servizi essenziali quali luce, acqua, gas, fognature. Il sovraffollamento fu alla base dell’occupazione degli scantinati, del degrado architettonico, del raggiungimento di condizioni igienico-sanitarie oltre il limite del collasso nonché della realizzazione di superfetazioni in alluminio spuntate come funghi sui balconi e lungo i ballatoi. Ben presto nell’area si concentrò l’attività di spaccio più fiorente del nostro Paese.
Torno in piazza Giovanni Paolo II. Riguardo le colonne. Rileggo la frase :“Quando la felicità non la vedi, cercala dentro”. La scritta è’ lunga 56 metri. Cinquantasei metri che adesso parlano di degrado, di camorra, di droga, prostituzione, armi, gare clandestine, economia illegale, morti ammazzati. Cinquantasei metri che risvegliano la coscienza.
Qualcuno ha detto che nessun vento è favorevole per chi non sa dove andare, ma per chi conosce la propria meta anche un po’ di brezza può essere preziosa. Lascio Scampia con la speranza che quei cinquantasei metri vogliano sottintendere un desiderio di riscatto. Il vento non avrà gonfiato le Vele, ma credo che qui ci siano ancora molte persone che lottano quotidianamente per opporsi alla criminalità, all’abbandono, all’incuria e per le quali l’indescrivibile sensazione provata dal vento che spiega le vele verso un futuro migliore sia tale da compensare qualunque sacrificio. Oggi qui a Scampia c’è un po’ di brezza. Una brezza che bacia i visi bambini, scompiglia i capelli delle donne, accarezza i fianchi delle case. E gonfia le vele della speranza.
Nessun commento:
Posta un commento